giovedì 21 marzo 2013

Una Favola Nera







 

Dicono che sia il migliore. Io dico che inaugura quella lunghissima serie di libri a seguito di Pastorale Americana, il suo migliore in assoluto e uno dei più belli della letteratura americana post bellica. Se il privato è pubblico, quello che vuole dire Roth in tutte le sue opere è che il pubblico è rovinosamente privato, totalizzante, distruttivo asfissiante. E, come in tutti i suoi libri, non si può prescindere dal disincrostare la trama dagli strati dell'intreccio: un riportare alla vita un'anfora attica ripescata in fondo al mediteraneo.

C’era una volta in un grande reame un ragazzino di nome Coleman Brutus, dalla pelle bianca e dagli occhi verdi. In quel paese la gente veniva divisa secondo il colore della pelle, i bianchi da un lato e i neri dall’altro. I bianchi comandavano e i neri ubbidivano. Coleman Brutus era un nero con la pelle bianca. La sua gente lo guardava con compassione perché il suo candore era il segno della violenza subita da una sua trisavola dal padrone bianco. Era doppiamente sfortunato per loro, ma Brutus non la pensava così. Ogni volta che lontano dal suo quartiere veniva scambiato per bianco otteneva cose che il fratello nero poteva solo sognarsele. Perché allora combattere per una cosa che per lui, sebbene per lui solo, poteva essere così facile? Approfittò della guerra che il suo paese combatteva contro un altro dove un'altra razza di pelle bianca, però, era perseguitata, e si arruolò dicendo di essere bianco. Ritornato dalla guerra, lasciò la casa e il paese natio, e iniziò una vita da uomo bianco nella capitale del reame. Si innamorò di una bella ragazza e la presentò alla sua mamma. La ragazza, però, quando vide la famiglia nera lo lasciò. Brutus non si disperò, non la odiò ma dentro di sé le diede ragione. Perché affrontare una vita di tribolazioni e umiliazioni in nome dell’amore e magari della dignità, si disse. Lui sarebbe stato un bianco ed ebreo per giunta, per godere anche dei privilegi di quella razza a quei tempi nel loro reame .

Trovato un buon posto d’insegnante, decise di sposare una ragazza dai grandi capelli ricci e neri. Andò di nuovo da mammà ma solo per dirle che lui da quel momento in poi sarebbe stato morto per lei, e lei per lui. Avrebbe avuto una altra madre e un’altra famiglia bianca e ebrea di cui parlare alla moglie e ai figli, se ne avesse avuti. E di figli ne vennero quattro, tutti fortunatamente bianchi. Era come se Brutus fosse andato incontro al suo destino e non il destino contro Brutus. La sua carriera andò a gonfie vele e per più di quarant’anni fu un rispettato uomo bianco.

Ma un brutto giorno disse di due alunne nere che erano spook, fantasmi. Apriti cielo! Il povero Brutus, il nero bianco, venne accusato di essere razzista, di aver voluto dire non fantasmi ma negre!

A nulla valse la sua accorata difesa. Avrebbe potuto dire di non poter essere razzista perché egli stesso nero. Ma lui aveva dimenticato di non essere bianco. La sua vita era la sua bugia.

Tale fu il suo sdegno che si dimise accusando i suoi persecutori di essere anche gli assassini della moglie, da cui viveva separato in casa, colpita da ictus in quel frangente. Per sfidare il razzismo alla rovescia che si era instaurato nel frattempo nel reame e la sessuofobia dilagante che aveva fatto mettere sotto accusa il re per fellatio, allacciò una relazione con una ragazza di quaranta anni più giovane, sbandata, forse ex prostituta, che lavava i cessi nella scuola e mungeva le mucche in una comune. La ragazza aveva anche un ex marito, reduce da vent’anni dal Vietnam, molto disturbato, violento e gelosissimo di lei di cui conosceva l’intenzione di ucciderla assieme all’amante per poi uccidersi a sua volta, stanco di vivere con i fantasmi della giungla vietnamita. Ma le cose non andarano così.

Quando Brutus venne trovato assieme alla bellissima ragazza dentro l’automobile in fondo allo stagno, si disse nel paese che il vecchio aveva abbordato a grande velocità una curva mentre l’amante gli praticava una fellatio. La cosa fu creduta da tutti e il povero, infelice, matto reduce, l’artefice dell’incidente, dovette rassegnarsi ad una vita di solitudine in uno spicchio di natura incontaminata di quel reame. Brutus morì, pertanto, senza che il suo segreto venisse svelato.

Solo uno scrittore affetto da incontinenza urinaria e amico del vecchio Brutus non credette allo sconcio incidente. Decise perciò di scrivere la vera storia di Colemann Brutus. Ma come tutto ciò che viene raccontato nei libri fu destinato a non essere creduto e la vera vita di Brutus, la sua opera d’arte, poté sopravvivere almeno a quel fiume di parole, senza essere snaturata dalla superflua verità della finzione .


 


1 commento:

  1. Ogni tanto mi trovo a guardare le librerie simili su aNobii, da lì arrivo ai blog dei proprietari... Però è un peccato che vengano abbandonati dopo così poco, soprattutto se non sono i più comuni blog che parlano di vampiri e trilogie erotiche...

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