martedì 4 giugno 2013


La zia d'America

La prima costatazione. Non mi sono accorta che si trattasse di quattro racconti, ma piuttosto di un romanzo cui era stato aggiunto un mezzo romanzo “Antimonio”, per cui mi sono chiesta ridendo per tutto “La zia d’America” dove Sciascia sarebbe andato a parare. Quale colpo di teatro alla sua maniera avesse in serbo, dopo aver “sferruzzato” con ironia sui difetti atavici della sicula gente.
La seconda costatazione. L’averlo iniziato senza la matita per segnare, rimandando a dopo il lavoro certosino che sono solita fare, è stato un affare.
Ho iniziato con Sciascia un colloquio, un andare su e giù per i ricordi, i suoi di prima mano anche se affidati a un adolescente di qualche anno più piccolo di lui; i miei di seconda mano, quelli della Sicilia in mano alle truppe alleate attraverso i ricordi di mia madre.
Quell’Almerica di cui saremmo potuti diventare una stella ( e stella evocava il meglio per noi poveretti), fino al sentirmi più americana che italiana. E gli zii d’America… lo zio Turiddu, fratello di mia nonna, la cui fotografia era sempre a portata di mano e chissà dove è andata a finire; e le figlie di cui una, Ignazia, omonima di mia madre, che negli anni cinquanta venne per davvero ma per una visitina, ché la sua persona e il suo baule erano stati sequestrati dalle cugine figlie di un’altra zia, per cui a noi rimasero risate grasse e benevole con l’aggiunta di una pesante carezza sulla guanciotta e un frugarsi nelle tasche del vestito sgargiante alla ricerca di un “cente” ( cent) mica un dollaro, che non trovò . Anziché prendersela con lei, mia nonna e mia madre litigarono con le cugine che si erano presi tutto loro.
Senza Sciascia non avrei mai ripescato queste memorie ma non posso giurare che le riflessioni siano state quelle che credo, o millanto le sue per le mie. Non avevo che quattro anni. Ma giuro che l’America, allora, mi sembrava proprio l’America, zii o non zii.
E le mosche! Quante mosche c’erano in quegli anni. Me lo chiedevo qualche giorno fa, non ricordo a che proposito, forse perché ne vidi, sgomenta, una scorrazzare per il soggiorno. Da dove venivano? La pompetta in rame con il ddt era sempre a portata di mano. Si accostavano le persiane lasciando un fil di luce verso cui sciamavano le mosche mezze accoppate.
Hai voglia a raccontare ridendo quei tempi in cui molti di noi vestivano come i figli dei boscaioli del Montana, visto che i mercatini erano pieni di roba americana usata, e i parenti non erano generosi come La zia d’America . Ma ritornare indietro nemmeno per scherzo! E m’incazzo a morte con i fautori della decrescita felice come se tutti, ma proprio tutti, passassero il tempo in fila negli ipermercati per acquistare l’ennesimo ipod ( e non so se sto usando la parola giusta), abbigliati come un albero di natale in cui, al posto dei nastrini, stanno appese le etichette delle grandi firme!